Come osservatrice e studiosa del mondo della relazione uomo-animale, a contatto con molti amanti dei gatti avidi di notizie e informazioni riguardo i loro beniamini, noto sempre una certa confusione nell’utilizzo dei termini che descriverebbero il comportamento dei gatti.
Si dirà “Come sei pignola! Sono solo parole, è il concetto quello che conta!”.
E invece no, perché da comunicatrice al pubblico ho imparato che sono proprio i termini a veicolare il significato e il valore delle idee che esprimiamo e se le idee sono confuse, questo si vede proprio dall’uso improprio delle parole che scegliamo.
Animale sociale o solitario?
Uno dei più grandi scontri ideologici cui assisto riguarda la socialità del gatto: è un animale solitario o sociale? Ovvero sta bene da solo o deve avere compagnia?
Su questo concetto gli animi si infiammano come gettando benzina sul fuoco. Chi ha avuto la possibilità di vivere una convivenza aperta e amichevole con un gatto è pronto a spergiurare che mai potrebbe definirlo solitario.
D’altra parte, è innegabile che numerosi gatti riescono a condurre una vita dignitosa e felice anche senza convivere con propri simili.
Come stanno allora le cose?
Il punto è che la domanda è mal posta, ovvero la traduzione che si fa dei termini “solitario” (=vuole stare da solo) e “sociale” (deve avere compagnia), sono troppo categorici e, di conseguenza, fuorvianti.
Innanzitutto, il gatto è un predatore solitario, piuttosto che un animale solitario e questo segna una differenza abissale.
Predatore solitario significa che il gatto non caccia in gruppo, non conta sulla compresenza di suoi simili – nemmeno dei familiari – per decidere di fare quel che fa: è un libero pensatore, uno stratega autonomo, animato dalla filosofia del ghe pensi mi.
In quanto tale, è indipendente (altra parola fraintesa in ogni dove), ovvero non ha bisogno di organizzarsi con altri per agire, non necessita che qualcuno gli indichi cosa, quando e perché muoversi.
Anzi, se si pretende di farlo, si infastidisce anche un po’, la vive come una intromissione nella sua sfera intima.
Essere predatori solitari significa essere animali solitari?
Non è detto, soprattutto se la traduzione maccheronica di solitario è un generico vuole stare da solo.
Il gatto può indubbiamente essere definito animale sociale se con questa espressione si intende “capace di intessere relazioni”.
Tuttavia, la letteratura scientifica, studiando la specie, ha anche ritenuto opportuno aggiungere una piccola parolina che fa una differenza enorme nel descrivere il comportamento dei gatti: “facoltativo“.
Il gatto, dunque, è un animale sociale facoltativo, ovvero la sua tendenza a stringere legami è facoltativa, può presentarsi in un soggetto oppure no, in un ampissimo spettro di gradienti.
Essere un animale sociale facoltativo significa essere un animale che deve avere compagnia per stare bene?
Non necessariamente. La possibilità che un gatto possa apprezzare la convivenza con un suo simile oppure viverla come un enorme stress cronico dipende da molteplici fattori perché complesso e articolato è lo sviluppo della personalità felina.
Esistono senz’altro fattori genetici per cui un micio nasce più o meno predisposto alla vita sociale e c’è poco da discutere.
Esistono fattori del comportamento dei gatti legati alle esperienze precoci: un gattino cresciuto in una situazione di isolamento per le prime 5-7 settimane di vita (eccezion fatta per la presenza di mamma e fratellini), difficilmente diventerà un adulto socievole, indipendentemente dal resto.
Esistono poi le esperienze e l’influenza su di esse dello specifico contesto di vita. Quel che il gatto vive, forgia il suo carattere e lo convincono che una vita con poche relazioni è più o meno interessante di una vita con pochi, sparuti contatti.
E poi c’è l’età: relazionarsi a 6 mesi non è come farlo a 3 anni né come a 7 o 11 anni.
Tutti questi fattori, a loro volta, fanno i conti con il modo con cui un gatto stabilisce e mantiene relazioni in quanto gatto, il che non assomiglia al modo del cane, nemmeno dell’uomo o di qualunque altra specie. È il modo dei gatti domestici.
Come interpretare il comportamento dei gatti?
La verità è che non esistono etichette buone per tutte le stagioni. Poter catalogare i gatti come sicuramente sociali o sicuramente solitari sarebbe una gran comodità, un gran conforto, comodo nel sollevarci dalla responsabilità di sfuggire agli inquadramenti sommari e considerare, piuttosto, il vissuto, lo sviluppo e le peculiarità di ogni singolo individuo, in ogni singolo contesto, a quella specifica età.
Confrontarsi con la diversità, invece, significa proprio questo: lasciarsi andare alle vertigini dell’assenza di rassicuranti etichette.
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