Sul pelo del gatto se ne sono sempre dette di tutti i colori. Letteralmente parlando, sono secoli che l’uomo etichetta, giudica, sentenzia riguardo questi animali ed attribuisce loro qualità positive o negative a partire dal colore nel mantello.
In Italia i gatti neri portano sfortuna, soprattutto se attraversano la strada; nel Regno Unito, invece, un gatto nero sull’uscio è considerato auspicio di buona sorte.
Si ritiene che le gatte tartarugate (ovvero le gatte nere a striature rosse) abbiano caratteri difficili, che i gatti rossi siano particolarmente difensivi e territoriali, mentre i colour-point (i gatti dal mantello beige e le appendici colorate comunemente, seppur impropriamente, chiamati siamesi) sono da sempre considerati di bellezza regale, così come tigrati sono vissuti come comuni e ordinari.
Insomma, l’immagine culturale del gatto è da sempre vincolata e condizionata dall’estetica del suo mantello.
I gatti e in generale i felidi hanno sempre stimolato l’immaginario umano, il quale ha preteso di vestire addirittura i panni di queste splendide creature per assumerne la forza e il carisma.
Da cosa dipendono i colori del mantello?
Il colore e gli eventuali disegni (detti pattern) del mantello di un gatto dipendono dal suo patrimonio genetico e sono dunque l’espressione di un pugno di geni che si attivano con la crescita del feto.
Non sempre un colore identifica una razza per cui, per esempio, non tutti i gatti grigi sono certosini o non tutti i gatti con le punte colorate sono siamesi.
In generale, sono più numerose le razze che presentano il pelo del gatto in una gran varietà di colori.
Tutti i gatti domestici condividono geneticamente un mantello “di base”, quello che gli anglosassoni definiscono wild type, marrone a striature a lisca di pesce nere (il così detto brown o black tabby).
Questo colore è ancora oggi il più diffuso perché consente ai gatti di mimetizzarsi perfettamente nell’erba, tra i cespugli o sul ramo di un albero.
Si ritiene che le variazioni di colore al tipo wild siano state successive all’avvicinamento del gatto all’uomo e che, dunque, siano relativamente recenti.
Così, per esempio, il gatto nero (self o solid black) è geneticamente un gatto brown tabby, ma una mutazione incorsa nei secoli ha trasformato quel che appare come “sfondo” marrone in nero.
Come risultato, il gatto sembra totalmente nero ai nostri occhi ma nei gattini e/o negli adulti in controluce è possibile notare la presenza di striature “fantasma” che rivelano le informazioni genetiche portate dal gatto.
Una questione di genetica
Un altro gene è responsabile per i mantelli grigi tigrati (blue tabby) o completamente grigi (blu solid), tipo Certosino.
Si tratta di un gene (detto della diluzione) il cui effetto va a sommarsi a quello che determina la visibilità o meno delle striature. In pratica, quando si esprime sul mantello converte il nero in una tonalità grigiastra e/o il rosso in una tonalità crema/rosa.
Un altro gene che contribuisce alla variabilità dei colori del pelo del gatto è quello responsabile della produzione di pezzature bianche.
È un gene bizzarro, capriccioso, autonomo e laddove si esprime tende a pigmentare di bianco il pelo inibendo l’effetto di qualunque altro gene antagonista.
Ecco perché i gatti con macchie bianche appaiono tanto imprevedibilmente vari e non ce n’è mai uno che somigli ad un altro, nemmeno se consanguinei.
L’azione del gene responsabile per il mantello rosso, invece, sostituisce le bande marroni/nere con bande crema/rosse, in modo che il gatto appaia complessivamente rosso.
Questo gene, detto orange, è legato al cromosoma X della coppia che stabilisce il genere di un mammifero e che viene rappresentata comunemente come XX per indicare una femmina e XY per indicare un maschio.
Si dice che i gatti rossi siano prevalentemente maschi, che le femmine siano rare e che le tartarugate o le tricolori (ovvero rosse-nere-bianche) possano essere solo femmine.
Queste affermazioni, salvo alcune eccezioni, sono ragionevoli, quanto meno per motivi statistici: una gatta deve presentare la mutazione orange su entrambi i cromosomi X per apparire rossa mentre ad un maschio è sufficiente che muti l’unica X del suo corredo cromosomico. Si ha l’effetto “tartarugato”, invece, quando nella coppia XX, solo una X è mutata e questa configurazione può assumerla, tendenzialmente, solo una femmina (ma esistono eccezioni).
Insomma, la formazione dei colori del pelo dei gatti e dei disegni del mantello, di cui qui si è dato solo qualche elementare esempio, è una questione genetica che in passato ha rappresentato un ambito importante per studiare gli effetti dell’ereditarietà.
La maggior parte dei tratti dipende dall’espressione di pochi, singoli geni; d’altra parte, le caratteristiche comportamentali sono il risultato di complesse interazioni mente-corpo-ambiente lungo tutto l’arco della vita.
Di conseguenza, attribuire a un colore o a un disegno specifici comportamenti, in assenza di riscontri scientifici, appare un alquanto riduttivo.
È certo, però, che sapere come nascono certi mantelli non toglie nulla al fascino evocativo che questi animali riescono a suscitare anche solo ammirandoli a distanza.
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